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Il boom degli oppiacei afgani sotto gli occhi della NATO

Nel 2001 il governo britannico chiamò in causa proprio le colture di oppio come giustificazione per salvare le vite dei propri cittadini andando a invadere l’Afghanistan governato dai talebani. Quando Washington e Londra cominciarono a predisporre i piani di invasione, l’allora Primo ministro Tony Blair affermò nel corso di una riunione politica che il traffico di sostanze stupefacenti esportate dall’Afghanistan sarebbe stato ridotto fino alla sua estinzione definitiva: «Le armi che oggi i talebani stanno acquistando vengono pagate con le vite di giovani cittadini britannici che si procurano la loro droga nelle strade britanniche. Questo è un altro aspetto del loro regime che dovremmo puntare a distruggere».

L’invasione angloamericana, però, non ha contribuito a ridurre le coltivazioni di oppio, piuttosto il contrario.

In termini economici è la domanda che crea l’offerta. L’offerta e la relativa produzione di oppio ed eroina sono cresciute a partire dall’invasione dell’Afghanistan nel 2001 e questo ha avuto luogo proprio sotto lo sguardo dell’Alleanza atlantica. Invece di fermare il massiccio flusso verso l’esterno di oppiacei provenienti dall’Afghanistan, la presenza militare straniera sotto le insegne della NATO lo ha favorito. Alcuni ufficiali della NATO hanno dichiarato che il traffico di droga è stato tollerato per non esacerbare ulteriormente il clima di violenza che vede al centro i loro soldati.

Comunque sia, nel 2010 «Public Intelligence», il network di ricerca internazionale il cui compito è tutelare i diritti dell’opinione pubblica nell’accesso all’informazione, aveva da dire le seguenti cose relativamente ai legami tra il traffico di droga e la NATO in Afghanistan:

In un recente servizio firmato da Geraldo Rivera, che è stato trasmesso a fine aprile da «Fox News», un tenente colonnello dei Marines degli Stati Uniti ha sostenuto che le forze statunitensi incoraggiano gli afgani [sic] a ruotare diversi tipi di colture, ma che comunque per la paura di vedere compromessa la stabilità la coltivazione dell’oppio è tollerata e persino assistita. Nel novembre 2009 il ministro afgano per la lotta alla droga, generale Khodaidad […] ha affermato che la maggior parte delle sostanze viene accumulata in due province sotto il controllo di truppe statunitensi, britanniche e canadesi. Egli ha detto anche che le forze NATO stanno sottoponendo a tassazione la produzione dell’oppio nelle regioni sotto il loro controllo e che le truppe straniere stanno in questo modo guadagnando denaro dalla produzione di droga in Afghanistan.

La precisazione da parte del generale Khodaidad circa il ruolo della NATO è giunta in reazione a un articolo del quotidiano statunitense «The New York Times» che ha denunciato come il fratello di Hamid Karzai, Ahmed Wali Karzai, fosse uno dei maggiori trafficanti di droga nel Paese nonché a libro paga della CIA. L’articolo giungeva in un delicatissimo momento di negoziati tra le due parti sulla composizione del gabinetto del governo centrale afgano di Kabul.

Il quotidiano indiano «The Hindu» ospitò l’articolo di un ex diplomatico indiano di primo piano, M.K. Bhadrakumar, che commentava così le notizie sulle tasse imposte dalla NATO alle partite di droga:

Un conto era tenere un atteggiamento sdegnato quando l’ex direttore generale dell’Inter-Services Intelligence (ISI) del Pakistan, il generale Hamil [sic] Gul, ha espresso l’accusa secondo cui i velivoli militari statunitensi venissero impiegati in Afghanistan per il narcotraffico. Poteva risultare conveniente anche ignorare semplicemente la questione nel momento in cui alcune fonti russe bene informate hanno fatto filtrare alcune indiscrezioni sui massmedia di come le truppe statunitensi stessero facendo ottimi affari nel traffico di droga in Afghanistan arrivando a cifre nell’ordine delle centinaia di milioni di dollari. Khodaidad però è un professionista altamente preparato che sa di cosa sta parlando. […]
Pertanto, quando Khodaidad ha affermato domenica che i contingenti di Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada della NATO stanno “tassando” la produzione di oppio nelle regioni sotto il loro controllo, egli non ha fatto altro che emettere un severo monito per conto di Karzai. È un messaggio semplice e diretto: non lanciate pietre mentre siete seduti dentro una gabbia di vetro

A questo punto dovrebbe essere ormai terribilmente chiaro come l’Alleanza atlantica sia in realtà complice nel traffico di oppio ed eroina, in pratica un partner vero e proprio di queste attività criminogene.

Per decenni la CIA, in collaborazione con altre agenzie di intelligence come l’ISI pakistano, ha organizzato operazioni sotto copertura volte proprio a sostenere il commercio di sostanze stupefacenti. Alcuni elementi dell’esercito pakistano, in particolare nei piani più alti delle sue gerarchie, hanno tratto personalmente diversi vantaggi dal traffico dell’oppio afgano:

Oltre a governare il Pakistan direttamente e indirettamente sin dall’indipendenza [dello Stato; N.d.A.] e a dettarne la linea per quanto concerne il nucleare, la politica difensiva e quella estera, l’esercito [pakistano; N.d.A.] è tuttora la più vasta e florida impresa economica del Paese

Raoolf Ali Khan, il rappresentante del Pakistan presso la Commissione delle Nazioni Unite sulle Droghe, ha persino dichiarato in una registrazione risalente al 1993 che «non esiste alcun ramo del governo [in Pakistan; N.d.A.] che non sia inquinato dalla corruzione legata al traffico di droga», mentre dal canto suo nel 1994 la CIA in una relazione presentata al Congresso ha affermato come l’eroina fosse diventata «la linfa vitale dell’economia e del sistema politico pakistano».

Il Pakistan comunque assume il ruolo di semplice pedina subordinata se messo al confronto con gli Stati Uniti e col ruolo giocato dalla CIA nel traffico globale di sostanze illecite. Peter Dale Scott e Jonathan Marshall, nel loro libro La politica della cocaina, la droga, gli eserciti e la CIA in America centrale riassumono bene il rapporto che intercorre fra i due Paesi in questo settore:

La nostra conclusione è che il primo obiettivo di una strategia efficace per contrastare il narcotraffico dovrebbe essere proprio Washington e in particolare le relazioni che intrattiene con attori corrotti e legati al commercio di droga in diverse parti del mondo.

Abbiamo messo in evidenza come le operazioni sotto copertura condotte da Washington oltreoceano abbiano rappresentato un fattore primario che ha apportato cambiamenti alla struttura generale del narcotraffico diretto verso gli Stati Uniti; a questo proposito abbiamo citato il boom dell’eroina conosciuto negli anni Sessanta proveniente dal Vietnam e quello degli anni Ottanta dall’Afghanistan come analogie col tema centrale del presente libro: che il boom del commercio di cocaina in America centrale negli anni della presidenza Reagan fosse stato reso possibile dalle operazioni coperte volute dalla Casa Bianca per rovesciare i sandinisti in Nicaragua [vedere in proposito l’affare Iran-Contra; N.d.A.]

 

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