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Bottini di guerra occulti: l’oppio afgano

Secondo stime ricavate nel 2003, l’Afghanistan e la Colombia, principale vassallo degli Stati Uniti in America meridionale, hanno le economie maggiormente basate sul narcotraffico di tutto il mondo; il traffico di droga è pari alla «terza fonte di reddito in termini [monetari; N.d.A.] dopo petrolio e traffico di armi». Nel 2003 l’FMI ha calcolato che il riciclaggio di denaro sporco oscilla tra i 590 miliardi e 1,5 trilioni di dollari statunitensi, una quota che va dal 2 al 5% del PIL totale a livello mondiale e la maggior parte deriva proprio dal traffico illegale di droga.

L’oppio e gli stupefacenti illegali in generale hanno rivestito una parte sconosciuta ai più, eppure di portata storica e centrale, sia nell’economia mondiale che nelle relazioni internazionali. Per comprenderlo appieno e per valutare adeguatamente il ruolo dell’Afghanistan nel mercato mondiale della droga dobbiamo volgerci indietro a guardare la storia del traffico dell’oppio.

Alcune guerre di grande importanza sono state dichiarate in passato proprio a causa di questa sostanza. Londra e le compagnie di bandiera britannica, come quella delle Indie Orientali che amministrava e governava l’India, condividevano interessi comuni nel commercio e nel traffico dei narcotici. Nell’India sottoposta al dominio britannico e nel resto delle colonie di Sua Maestà gli interessi delle compagnie e quelli governativi erano legati e coincidevano tra loro.

Nell’Estremo Oriente e nel Sud-Est asiatico l’oppio rappresentava parte integrante della rete commerciale intessuta con i Paesi dell’Europa occidentale. Durante il suo picco a metà anni Ottanta del XIX secolo, l’oppio era addirittura uno dei beni più pregiati tra quelli circolanti sul mercato internazionale.

Le esportazioni britanniche dell’oppio proveniente dal subcontinente indiano avevano sistematicamente contribuito a indebolire la resistenza della Cina nei confronti delle potenze straniere o coloniali e avevano anche aiutato l’economia britannica a riequilibrare l’enorme deficit commerciale nei confronti di Pechino. I grandi gruppi commerciali britannici che amministravano l’India non costrinsero soltanto il governo cinese a lasciare crescere incontrollata, di fatto, la tossicodipendenza tra i suoi cittadini, ma distrussero pure i sistemi di agricoltura tradizionali dei contadini indiani, di fatto obbligati a coltivare intensivamente l’oppio.

Mentre prima la coltivazione degli oppiacei era stata una pratica non consentita tra gli agricoltori indiani, i colonialisti britannici una volta arrivati costrinsero con successo molti di loro a diventarne dipendenti per continuare a vivere. Le economie locali di diverse comunità venivano scientificamente riconvertite da un sistema che garantiva l’autosufficienza e la sussistenza alimentare ai tipi di coltura imposti dai mercanti di Londra. Le coltivazioni di sussistenza avevano assicurato ai contadini l’autonomia dalle influenze esercitate dai mercati e davano loro la certezza della sopravvivenza; le colture da reddito, invece, li resero dipendenti dal capitalismo britannico e dal giro d’affari legato all’oppio su scala mondiale per poter sopravvivere. In questo modo il controllo esercitato da Londra e lo sfruttamento imposto dalle compagnie britanniche in India finivano per rafforzarsi ancora di più.

Il commercio di droga sponsorizzato dai britannici fu una delle cause del crollo dell’Impero cinese. La tossicodipendenza toccò vette mai viste prima in Cina, forzando ben presto le autorità governative a mettere fuorilegge il consumo degli oppiacei per via dei suoi effetti nocivi e distruttivi.

L’oppio divenne uno degli strumenti principali della politica britannica in Asia; la dipendenza diventava un mezzo per sfruttare Nazioni, popoli ed economie della regione. Contemporaneamente, i ricavi del traffico d’oppio andavano a sostenere il commercio di schiavi destinati all’uso nelle piantagioni del cosiddetto Nuovo Mondo dall’altra parte dell’Atlantico. I profitti del mercato degli oppiacei erano talmente significativi e rilevanti che Londra arrivò al punto di dichiarare guerra alla Cina per avere tentato di ostacolare il suo commercio.

Il Celeste Impero ribadì il bando sull’oppio nel 1799, ma le compagnie e i mercanti britannici si limitarono semplicemente a ignorare il divieto. La messa fuorilegge degli oppiacei in Cina finì per influire negativamente sul commercio mondiale, contribuendo a un innalzamento del prezzo di mercato.

Quello che accadde in Cina era assimilabile al proibizionismo negli Stati Uniti relativo all’alcool che fu instaurato dal 1920 al 1933, tranne per il fatto che l’oppio stava effettivamente drenando capitali dall’economia cinese. Sin dagli anni Trenta del XIX secolo, per i britannici il valore delle esportazioni degli oppiacei aveva superato quelle del tè su scala mondiale. Nel 1838 le autorità cinesi sancirono la condanna capitale per tutti i loro connazionali colpevoli di traffico, distribuzione e smercio di droga. Anche in presenza di una simile svolta, però, i britannici risultavano esenti da qualsiasi conseguenza penale in materia poiché il governo cinese non aveva intenzione di veder sorgere problemi con Londra o ancor peggio addentrarsi in una diatriba diplomatica.

Nel 1839 ai cinesi non era rimasta altra scelta che quella di rendere ancora più severa la legge, vietando le importazioni di oppio, in grandissima parte gestite da compagnie e mercanti britannici pienamente sostenuti da Sua Maestà. La Cina stava scivolando verso il completo disastro economico man mano che le sue riserve di oro e argento venivano prosciugate per ripagare le importazioni di oppio, andando così a causare un massiccio flusso di capitali in uscita proprio verso le casse britanniche. I cinesi si rifiutarono dunque di aprire a ulteriori importazioni e iniziarono finalmente a far rispettare il bando sancito già anni prima, ma nel frattempo apertamente ignorato e violato dalle compagnie britanniche e in generale europee.

Nello stesso anno (1839) Londra dichiarò guerra all’Impero di Cina e inviò una flotta navale col sostegno di soldati dell’esercito britannico provenienti dall’India. La Cina venne sconfitta e fu obbligata a sottoscrivere nel 1841 il Trattato di Nanchino, assolutamente iniquo e penalizzante.

Questo condusse a un ulteriore sfruttamento economico della Cina che sfociò di lì a breve in quella che fu chiamata seconda guerra dell’oppio. Londra prese parte al conflitto sbandierando al resto del mondo le proprie presunte ragioni contenute proprio nel Trattato di Nanchino, col quale le potenze straniere e colonialiste non avevano fatto altro che stringere ancora di più la propria morsa su Pechino, attraverso il dispiegamento di truppe occupanti nella stessa capitale e la perdita di parti di territorio nazionale con la cessione di Hong Kong e Macao.

Così scrisse, relativamente alla firma del trattato di Nanchino con cui si mise fine alla prima guerra dell’oppio, il Primo ministro britannico dell’epoca, lord Palmerston: «Non vi è dubbio che quest’evento, che rappresenterà una pietra miliare nell’evoluzione della civiltà delle razze umane, debba essere accompagnato dai vantaggi più rilevanti possibili per quanto riguarda gli interessi commerciali dell’Inghilterra». Ecco fin dove giungeva l’importanza del commercio di droga per l’economia britannica.

Da un punto di vista storico il ricco traffico di oppio favorito dalla Gran Bretagna in Asia creò le fondamenta per la moderna industria globale degli oppiacei e dell’eroina, così come delle relative coltivazioni nell’Afghanistan di oggi, che produce da solo quasi il 92% dell’eroina su scala globale. Le colture dell’oppio sono state introdotte nella zona del cosiddetto Triangolo d’Oro indocinese nel Sud-Est asiatico (Laos, Myanmar e Thailandia) al pari di altre zone del continente.

Intere culture ed economie nazionali sono state distorte per sempre e cambiate al fine di soddisfare interessi economici imperialisti nascosti od occulti.

Per esempio, fu sempre Londra a costringere l’Iran a sostituire il proprio caffé nazionale col tè britannico. Accadde così che la società iraniana abbandonò il proprio costume tradizionale legato al caffé per abbracciare l’uso del tè proveniente dall’India britannica, semplicemente per andare incontro agli interessi commerciali e ai diktat di Sua Maestà. Al giorno d’oggi i locali che in Iran conservano ancora la denominazione originaria di “caffè” in realtà servono prevalentemente tè.

Il traffico di oppio in Afghanistan è eredità sia della rete commerciale storicamente imbastita dai britannici, sia della devastazione del Paese avutasi con la guerra contro i sovietici, iniziata per volere di Stati Uniti e Pakistan. Fu proprio nel corso del conflitto con le forze di Mosca che in Afghanistan venne lanciata la coltivazione dell’oppio su ampia scala, grazie al supporto e alla protezione delle agenzie di intelligence pakistane e statunitensi. Queste esportazioni erano dirette soprattutto verso i mercati dell’eroina dell’America settentrionale e dell’Europa occidentale.

I principi economici in vigore al tempo delle guerre dell’oppio sono ancora gli stessi ai giorni nostri.

Le sostanze stupefacenti sono sempre un bene di consumo di grande valore economico e una componente fondamentale degli scambi commerciali effettuati sul mercato nero.

L’oppio coltivato in Afghanistan ricopre una fetta molto estesa all’interno del mercato globale della droga, essendo stimato dalle Nazioni Unite (prima dell’11/9) per un ammontare che varia dai 400 ai 500 miliardi di dollari (statunitensi) all’anno. Non solo la posizione strategica quindi, ma anche il commercio dell’oppio è un premio estremamente vantaggioso per chiunque riesca a controllare l’Afghanistan.

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